mercoledì 1 aprile 2009

Gli amici veri non se ne vanno mai, neanche quando non ci sono più


Ci sono persone destinate a grandi cose, con ambizioni e capacità decisamente sopra la media, con una tenacia incredibile e assolutamente instancabili. Queste persone meritano tutto quello che conquistano, anzi, meriterebbero di più.
Imad era questo, e molto di più.
Ricordo ancora quando mi ha fatto il colloquio, nello stanzino dell’ufficio personale con le finestre sulle aiuole del parcheggio, la scrivania in legno consumato e i milioni di raccoglitori strapieni. Io imbarazzata e tesa, lui che parlava a raffica sparando almeno 200 parole al secondo sugli obiettivi aziendali, i clienti, le capacità, i progetti… alla seconda parola mi ero già persa ma cercavo di guardarlo con occhio intelligente e facendo cenno di si con la testa a caso (anche perché quando finivo di assentire aveva già cambiato almeno tre argomenti). Poi, sempre continuando a parlare si alza e mi dice, vieni che ti mostro il tuo ufficio e la tua scrivania. Incredula mi alzo e lo seguo fuori dall’ufficio personale attraverso il parcheggio, fino all’entrata degli uffici, scala, primo piano, 5 ufficio: ecco: questa è la tua scrivania e loro le tue colleghe: Mirella e Daniela.
Era il primo colloquio ed ero già una delle sue ragazze del D.M. Era sicuro che avrei accettato, e chissà come era sicuro che sarei stata brava.
Dopo un mese esatto infatti quella scrivania era davvero diventata la mia, e lui il mio capo.
Ha preso il meglio delle mie conoscenze da ex-fornitore e mi ha donato tutte le sue, senza neanche rendercene conto pensavamo ormai allo stesso modo e ci comportavamo nello stesso modo coi clienti e fornitori. Forse perché lui aveva un anno solo in più di me, nonostante fosse decisamente più maturo dal punto di vista lavorativo. Solo su una cosa non eravamo mai d’accordo: gli orari e i giorni lavorativi: per lui non esistevamo giorni non lavorativi come non esisteva uscire alle 18.00 .. così io scappavo dall’ufficio in punta di piedi, salutando le mie colleghe a gesti, strisciando rasente al muro e trattenendo il respiro… e tutte le sante volte quando ero quasi arrivata sana e salva alle scale in fondo al corridoio sentivo una voce dal fondo : “Dove pensi di andare che sono solo le 6?????” e la mia solita replica arrivava puntuale “Ho allenamento Imaaaad…ciaoooo” e scendevo le scale di corsa… ovviamente appena salivo in macchina mi chiamava sul cellulare …
Il sabato sera dopo la partita trovavo dei suoi messaggi: “chiamami: casino” ed è così che la domenica mattina passava a prendermi per portarmi da qualche fornitore. Passavo più tempo con lui che con me stessa, era incredibile.
Ed è così che oltre al mio capo è diventato il mio migliore amico.
Se non mi chiamava mi mancava, se non lo vedevo lo chiamavo. Non era più solo il mio capo, gli volevo bene, un gran bene.
Mi prendeva in giro per il mio francese da italiana , e io per il suo inglese da libanese, ci correggevamo a vicenda ininterrottamente ma ci fidavamo ciecamente uno dell’altra. Mi mandava a recuperare i clienti con la multipla aziendale e me li affibbiava fino all’avviamento rimandato alle 5 di mattina, pranzo, cene, e attese. Mi spediva dai fornitori a verificare i problemi, in quanto esperta di meccaniche di confezionamento e se non tornavo con una soluzione mi ci rispediva il giorno dopo, subendosi tutti i miei insulti del caso.
Era un gentiluomo d’altri tempi, organizzava qualsiasi cosa e ci portava le valigie durante i viaggi di lavoro, ci dava importanza sugli stand delle fiere presentandoci non come hostess, ma come “mes capables filles du Direct Marketing” (anche se poi ci chiamava per portare da bere ai clienti, e riceveva sempre in cambio qualche battutina tagliente), e la sera… cena libanese con danza del ventre, disco a Lille per il compleanno di un Cliente, serata sui go-cart sempre circondati da 15/20 clienti e amici.
Sapeva far diventare il lavoro un piacere, e il piacere .. lavoro.
Se aveva un problema glie lo leggevo in faccia, e lui a me. Ed è così che mi sono accorta che qualcosa non andava. Non solo io, ma anche le mie colleghe. Alla fine avevamo ragione.
Nonostante due operazioni, tante cure e tanti viaggi in america, un tumore al cervello si è portato via il mio migliore amico e migliore capo all’età di 31 anni.
Ma in realtà Imad, resta dentro di me in tutto quello che faccio. Io sono non solo me stessa, ma anche una parte di lui, proprio così, non posso dire che lui è una parte di me, perché sono io ad essere una parte di lui e per questo non smetterò mai di ringraziarlo.
E per questo oggi gli auguro buon compleanno.

smi

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