lunedì 19 aprile 2010
La pioggia, il freddo e.. ... o forse no ..
Sono sdraiata sul letto eppure è come se stessi camminando per strada, sotto questa pioggia che se non fosse per le voci che mi entrano inconsapevolmente nelle orecchie e che riconosco come italiane, sarei convinta di essere a Londra.
Nascosta sotto il mio cappello che evita che i miei capelli piuttosto ribelli si arriccino trasformandomi nel re leone, cammino guardando davanti a me ma non vedendo niente. Qualcosa c’è, ne sono sicura, ma vedo la strada scorrermi accanto e davanti come se fossi in un cinema in 3d e quindi non fosse la mia, ma quella di qualcun altro.
Non lo so perché provo questa sensazione, ma è come se il mio mondo non fosse il mio. Sbatto il gomito contro lo specchietto di un’auto parcheggiata male, eppure non lo sento. Mi volto a guardarlo, ma è come se non mi avesse toccato, se quello non fosse il mio braccio. Osservo.
Eppure sto camminando. Senza nemmeno rendermene conto guardo i miei piedi. Sì sì sono i miei, non è uno scherzo della mia immaginazione, non è come quando ero piccola e di notte sognavo di alzarmi e andare in bagno a fare la pipì. Mi sedevo e pensavo.. ma è vero, non sto sognando vero? E mi rispondevo: certo che è vero.. poi la mattina mi svegliavo tra le lenzuola bagnate chiedendomi come fosse possibile, come potevo averlo sognato? Come poteva essere così reale se non era vero?
Ecco la sensazione è un po’ quella. Sono i miei piedi? Si muovono davvero? Sì… ma forse no.
Cosa importa, sto comunque camminando e da qualche parte andrò…
Attraverso il parco e le panchine con i ragazzini che si baciano come se niente altro esistesse, come se niente altro fosse importante, come se il mondo finisse li, sulle labbra dell’altro, nei suoi occhi, il resto fosse solo un poster appeso a un muro.
Seguo i miei piedi e schivo una piccola peste in bicicletta, con le rotelle ancora attaccate che scappa dalla babysitter disperata, che già si vede licenziata in tronco se la pesta cade e si sbuccia un ginocchio, o peggio ancora rompe la bicicletta con quella trombetta rosso fuoco attaccata al manubrio che fan un rumore assurdo e che ovviamente lui non si risparmia di suonare. Vedo una panchina vuota, è umida di pioggia ma i miei piedi hanno deciso di fermarsi, e mi ci siedo.
Ad un tratto sento qualcosa… è… freddo. Sento freddo. Allora non è il film di qualcun altro. E’ il mio di 3d. Mi stringo le braccia attorno al petto e sfregando le mani sulle braccia tento di scaldarmi … ma serve a ben poco… eppure ad un tratto sembra che funzioni…
Mi scaldo… mi scaldo le braccia, ma il calore non si ferma li, sale alle spalle, al collo … alle guance …
E poi riparte dai piedi, senza però lasciare il resto del corpo. Come una puntura di qualche agente riscaldante, di vodka o di rum o di qualcosa di altamente infiammabile, che un secondo dopo essere stato iniettato, mentre scorre nelle vene viene acceso da un accendino invisibile, e si infiamma mentre scorre veloce, lasciando questa sensazione di calore… così… così piacevole che mi ci lascio andare.
Chiudo gli occhi e sento. Li tengo chiusi e mi godo questa sensazione.
Sorrido.
Apro gli occhi e sono sdraiata sul mio letto, probabilmente non mi sono mai mossa. Vedo le sue mani sulle mie, nelle mie con le sue dita che si intrecciano alle mie, vedo le sue braccia attorno alle mie, al mio corpo, alle mie spalle, vedo il suo ginocchio sopra il mio e l’altra gamba tra le mie, vedo i suoi piedi attorno ai miei, come se il pan carrè attorno ad un toast. Sento il suo respiro sul mio collo, nelle mie orecchie, che fa ondulare i miei capelli.
Sei tu che mi scaldi?
Sì, sei tu, che domanda sciocca.
Mi stringo in questo abbraccio godendomelo finalmente a pieno, socchiudendo gli occhi, aprendo il sorriso e il mio cuore perché si possa scaldare anche quello.
Mi scappa una risatina… la sopprimo per non svegliarlo, mi sento bene, mi sento calda, mi sento protagonista del mio 3d. Apro le labbra e ne faccio uscire un sussurro, leggero :” sei tu la mia coperta i Linus?” …
Smi
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