mercoledì 27 gennaio 2010

Rèves moi, s’il neigera ..

Faccio la strada quasi di corsa, con la borsa degli allenamenti sulle spalle, pensando come sempre a quanto pesa e cosa diavolo posso averci infilato dentro, forse mattoni. E’ tardi, come ogni mattina e se voglio timbrare senza ritardi devo sperare che non ci sia la vigilessa davanti alle scuole elementari a fare attraversare i bambini, quella è talmente rincoglionita che ti lascia ferma mezz’ora perché un bambino è appena uscito di casa 10 km più in là e ha deciso che lo vuole aspettare…

Salgo in macchina, metto la borsa dietro e accendo l’aria calda al massimo mentre tolgo il ghiaccio dal vetro, pensando che sono una cretina e che devo decidermi a tirare fuori dall’armadio i guanti con le dita, perché questi senza non servono a molto il 27 Gennaio con -3 gradi fuori..
Finalmente risalgo, e mentre esco dal parcheggio e mi avvio verso la briantea smetto di ascoltare i miei pensieri e mi accorgo, dapprima vagamente, che c’è una canzone che conosco alla radio… conosco e mi piace, e pian piano scopro che la sto canticchiando… “Sognami se nevica,Sognami sono nuvola ,Sono vento e nostalgia, Sono dove vai….."
Senza nemmeno accorgermene non sto più guidando verso l’ufficio con l’ansia della ritardataria cronica e inguaribile, ma sto camminando nella neve..sono in mezzo a una città, chissà quale, chissà dove, e cammino sul porfido bagnato, sento il vento sulla faccia e i fiocchi che mi entrano in bocca mentre canto “Sognami se nevica , Sognami sono nuvola, Sono il tempo che consola , Sono dove vai…..”
Alzo la testa e guardo la neve che scende in ordine sparso come se gli angeli la setacciassero da sopra pensando di spargerla su una torta, eppure in un ordine così perfetto da sembrare che abbia una forma. Sento il freddo…ma non ne sono sicura, anzi sento caldo… alla mano sinistra… eppure non capisco ho i guanti senza dita… abbasso il viso e poso lo sguardo sulla mia mano sinistra… e noto che non sta penzolando ritmicamente mentre cammino, ma è in tasca, non nella mia, nella tasca di uno sconosciuto che cammina accanto a me. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla camminata regolare di questo sconosciuto, dalla neve, e sento il calore della sua mano che stringe la mia in quella tasca.. che sensazione strana… il freddo, il bagnato e quella mano calda… mi sento scaldare il cuore pian piano come se da li partisse un fuoco che attraverso le vene mi scorre verso il cuore, e da li verso ogni parte del mio corpo. Ho voglia di guardarlo in faccia, eppure continuo a osservare quella giacca di pelle nera, quella tasca dove ci sono la mia mano e la sua, e sorrido mentre la neve si scioglie cadendomi addosso, scaldata anche lei al contatto col mio viso… Oddio forse sono diventata rossa, forse semplicemente sono io che non la sento, distratta dall’immagine che vedo come se stessi guardando un film, un dipinto, una foto in bianco e nero con un solo particolare a colori.
Ma ho voglia di guardarlo, e con uno sforzo immane alzo gli occhi, senza mettere a fuoco perché non so bene se voglio vedere chiaramente o se mi piace godermi la sensazione e basta… e poi metto a fuoco, lo guardo e sorrido, così spontaneamente e senza un motivo, ma sorrido, e lui mi sorride di rimando, con le labbra e con gli occhi, apre la bocca e mi dice “Rèves moi, s’il neigera , Je suis vent et nostalgie, Je suis où tu vas..” apro la bocca anch’io e sto per dire qualcosa quando sento un rumore in lontananza…non… non capisco cos’è…. Cosa… un clacson? Guardo bene e sono ferma a 2 metri dalle strisce delle scuole elementari, e nella macchina davanti a me un operaio in ritardo tira porconi alla vigilessa….. era…. era solo una canzone….
Eppure sembrava così vera ….

Smi

domenica 24 gennaio 2010

Born to smile



... e quando pensi di non essere più capace di sorridere ad un certo punto ti distrai, e quasi per caso vedi la tua immagine riflessa nell specchio, all'inizio non ci fai caso ma poi... poi ti accorgi che quell'immagine sta sorridendo. Ti giri e guardi alle tue spalle per vedere se nonostante quella sia la tua faccia, in realtà la bocca, quella che fino a poco tempo prima era una mezzaluna con gli spigoli verso il basso e che adesso invece è l'esatto opposto, sia quella di qualcun'altro.
Ma non c'è nessuno dietro e quella è proprio la tua immagine.
Stai sorridendo! lo stai facendo, ne sei ancora capace.
E questo pensiero ti fa sorridere, ancora di più, ancora più a lungo, e come la corrente che una volta acceso l'interruttore passa dal filo riempiendolo fino in fondo, così il tuo sorriso si riempie e si allunga... e non accenna a spegnersi, come se l'interruttore fosse scomparso e non si potesse più spegnere.

una bella sensazione, è... è come quando impari a camminare di nuovo dopo esserti rotto una caviglia. E' una cosa che sapevi fare anche prima, eppure sembra una cosa nuova.
E allora non riesci a smettere di pensare e vedere il tuo sorriso, di sentirlo ... senti i muscoli della faccia contratti e ti godi quella sensazione, te la godi fino in fondo.
E' bello sorridere, ma ricominciare a sorridere lo è ancora di più.

Smi

mercoledì 13 gennaio 2010

Se domani farà bel tempo – Luca bianchini


Scoperto per caso ascoltando Diego e la Pina a Pinocchio, passo in libreria a comprare “Se domani farà bel tempo” di questo sconosciuto Luca Bianchini che, a pelle, anzi a voce, mi ispira simpatia.
Dopo averlo lasciato un paio di settimane a prendere polvere, direi che è invecchiato al punto giusto ed è ora di gustarlo.

Lo apro e vengo catapultata nella Milano bene, io, paesana della periferia lacustre lecchese mi sento spettatrice di questo mondo milanese che a volte mi capita di incrociare nei locali di corso como, o giù di li. Come se dopo la coda e le moine al buttafuori fossi finalmente entrata anche io, vedo Leon seduto nel privè, coi suoi amichetti con il maglioncino legato in vita o al collo, come se fosse una sciarpa e le polo firmate, pieni di bottiglie ai tavoli e di ragazze “avere”. Lo vedo anche passare da via tocqueville nel macchinone con un ciuffo davanti agli occhi che non gli permette di vedere dove va, aiutato anche dalla quantità di alcool in corpo, e quasi investe la gente che cammina ai lati della strada. Alzo gli occhi e sono nel mio letto, sono quasi le 4 di mattina e sto leggendo quello che credevo di vedere in un sabato di ordinaria follia milanese.
Probabilmente se fossi nata a Napoli avrei fatto più fatica ad immaginarmelo. Ma anche no, perché credo che alla fine tutto il mondo è paese perché anche a St Moritz, Portofino e Ibiza il bel rampollo di famiglia si sente a casa, e si notano ben poche differenze.
Lui però è un viziato sensibile.. certo senza soldi questa vita non si può fare, ma questa è la vita che vuole? Cade dal cielo l'opportunità per capirlo, direttamente dalle mani del nonno, unica figura familiare degna di questo nome, ed eccolo catapultato nella campagna toscana, a vendemmiare.
Istintivamente me lo vedo in stile Celentano che canta nella tinozza a piedi nudi mentre schiaccia l’uva, poi mi riprendo e mi ricordo che Leon ha i piedini delicati, e non parla col popolo….
E invece mi stupisce.
Benvenuto nella vita reale Leon, davanti ai problemi quotidiani delle persone normali, alle ragazze “essere” che non ti cagano e agli stratagemmi per attirarle, perché una borsa di louis vuitton non funzionerebbe, e nemmeno un bel giro di locali o in macchina, qui ci sono scale, ciotoli,piazze e un bar.
Istintivamente faccio il tifo per lui, e devo dire che il ragazzo mi da delle soddisfazioni, cresce, impara, si innamora sul serio.
Per non svelare il finale dirò una cosa sola….rincorrilo Leon, quel raggio di sole…
Bello, veramente bello e scritto nel modo in cui piace a me leggere le cose, come se fossi al bar con un amico che me le racconta, come se io stessa le raccontassi a lui, come le scriverei io stessa in una lettera ad una amica.
E ora che ci fai leggere Luca? Noi aspettiamo impazienti…
Smi

martedì 12 gennaio 2010

Ti prendo e ti porto via – Niccolò Ammaniti

Romanzo definito pulp, e che in effetti del pulp ha lo sviluppo di vicende dai contenuti forti e spesso violenti, ma più come risvolto casuale e conseguenza naturale delle situazioni che per tendenza al crimine e al macabro.

Si tratta di due storie parallele che solo alla fine si incontrano e si incrociano, legando il destino dei due protagonisti : lo studente Pietro Moroni povero, perseguitato dai compagni e innamorato della bella e benestante compagna Gloria e Graziano Biglia playboy nullafacente e in fase discendente. I due orbitano intorno a Flora, l’insegnante, senza saperlo e senza immaginare che le colpe di Graziano finiranno casualmente per ricadere sulle debolezze e la rabbia adolescenziale di Pietro, studente “tradito” da un’insegnante innamorata e disperata per la perdita dell’amato che la porterà all’ apatia e al disinteresse totale per ciò che prima amava: i suoi studenti.
Non c’è un insegnamento, una morale o un fine nel racconto, è semplicemente un avvicendarsi di avvenimenti che segnano da una parte la crescita di un adolescente tra bocciatura, difficoltà familiari,scolastiche ed economiche, rapporti di amicizia e primi amori, piccoli crimini e voglia di andare via e il tramonto di Graziano, un “quasi vip” che non ha combinato niente nella vita e che invece auspica il ritorno a casa, il piccolo Ischiano Scalo per aprire una jeanseria con una moglie, che però si lascia trascinare dalla donna sbagliata abbandonando quella giusta e accorgendosi dell’errore troppo tardi.
Non c’è lieto fine ma non ti lascia nemmeno l’amaro in bocca, perché ognuno ha quel che si merita, tranne Flora forse, che in una tarda adolescenza scopre se stessa, il suo corpo e l’amore, ma che ne viene travolta senza essere capace di sopportare il peso delle situazioni da sola.
Le pagine scorrono sotto le dita e quando la storia arriva a un punto cruciale Ammaniti conclude sapientemente il capitolo per ricominciare con l’altra storia parallela, alternandole continuamente e tenendo viva la curiosità, e attento lo sguardo.

Una curiosità. Si dice che Vasco Rossi abbia tratto l’omonima canzone proprio da questo romanzo, io, non so perché, ma appena ho incontrato Graziano nelle prime pagine ho pensato a Vasco e me lo sono immaginata proprio come lui, col capello un po’ più lungo, chiaro e riccio, ma molto somigliante.

Smi

lunedì 11 gennaio 2010

L'ombra del vento - Carlos Ruiz Zafon



Trama avvincente in una location appropriatamente ricercata. Una Barcellona pre e post guerra , raggelata dal vento freddo dell'inverno e degli eventi ma riscaldata dai cuori che ancora battono sotto le macerie e tra  i cunicoli della città. Città che, in decadimento fisico e psicologico, osserva il susseguirsi e il ripetersi nel tempo di vicende che accomunano diversi strati della società e persone apparentemente senza legami.
Consapevolezza e ingenuità, denaro e povertà, cultura e ignoranza, amore e odio, apatia e lotta sono le antitesi su cui si regge l'intera storia e che si alternano nell'animo e nelle case di ogni singolo personaggio, che lo guidano attraverso una strada che sembra creata e confezionata a pennello dal destino, senza vie di fuga.
Daniel Sempere è l'erede naturale di Julian Carax, per questo il libro di Julian lo sceglie e da quel momento la storia dei due diviene indissolubilmente legata. Oggetti, situazioni, pensieri, amicizie, mentre indaga sulla vita di questo scrittore sconosciuto e inspiegabilente incompreso Daniel finisce nel corpo dello scrittore e nella sua vita, ne prende le fattezze, i pensieri, i sentimenti e senza accorgersene finisce nel suo destino, come se attraverso le pagine che ha letto fosse finito in un universo parallelo, una sorta di "Storia Infinita" con i lupi e il male, l'amico fedele fortunadrago, la torre d'avorio custode di mille segreti che si sta sgretolando e una sola cosa che può salvare entrambe le storie, entrambe i protagonisti: cambiare il destino, non lasciarsi trascinare dagli eventi ma diventare artefici di se stessi e della prorpia vita.
Così i segnali disseminati nel racconto di indissolubilità e necessità di cambiare il flusso mediante una piccola deviazione per salvare chi è ancora in vita e liberare chi non lo è più, vengono alla fine colti e svelati in un finale che lascia senza fiato e fa temere per il peggio.
Un pò "Fahrenheit 451" e un pò "Dorian Gray", nel riversare se stessi e le proprie azioni sui libri, prima scrivendoli e poi bruciandoli per eliminarli e allo stesso tempo eliminare se stessi nelle stesse fiamme.
I personaggi sono vivide e veraci maschere rappresentative di caratteri e ruoli societari, ognuno con delle motivazioni valide a supporto della propria personalità e della propria fine.
Nel complesso è un romanzo che si legge tutto di un fiato, nel quale ci si appassiona, si tifa per il o meglio i protagonisti, si diventa smaniosi di conoscere la verità e svelare i misteri, si sbarrano gli occhi e si trattiene il fiato, ci si lascia andare all'amore e ci si spaventa per la paura. E poi... tanti sospiri di sollievo e una lacrima, che scende a bagnare le pagine lasciando un segno indelebile tra la carta e l'inchiostro e che quasi vuole proteggerle dal fuoco del diavolo che se le vuole portare via, ma che hanno ancora tanti lettori da appassionare

Smi

giovedì 7 gennaio 2010

L'ombra del vento.... le presentazioni....



Il pomeriggio del 24 Dicembre, in piena ricerca dei regali di Natale e in ritardo come al solito, sono entrata in libreria, non ho ancora capito se con uno scopo preciso o solo per il piacere di trovarmi tra buoni amici. Come un bambino al parco giochi ero attratta da un milione di colori, forme e disegni, sfiorando con le dita i dorsi dei libri e prendendo in mano quelli che mi attiravano di più per leggerne la trama sulla terza di copertina. Penso fosse più affollata di piazza duomo durante la notte bianca, ma chi se ne accorgeva.. concentrata sugli scaffali e procedendo lenta e rapita io sentivo solo silenzio e vedevo solo i colori. Poi le dita e lo sguardo si posano su di lui.. l’ombra del vento… e questo cos’è? Mai sentito… Carlos Ruiz Zafon… … passo i polpastrelli sulla copertina chiudendo gli occhi, come se cieca dovessi leggere in braille… sento in rilievo il nome dell’autore, il titolo e il logo dei best sellers… apro gli occhi e guardo i lampioni, la nebbia e la nota : “Una Barcellona misteriosa. Un segreto sepolto nel Cimitero dei Libri Dimenticati.” Già dopo “Barcellona” ero convinta che l’avrei preso… ma volevo dare una possibilità al resto dello scaffale e soprattutto avevo bisogno di una scusa per comprarlo, dato che oltre ai libri per i miei 8 esami mancanti ce ne sono almeno 15 nel mio ebook-reader e 6 in carne e ossa…. anzi carta e inchiostro, che aspettano di essere letti… faccio un passo in avanti sempre tenendo le dita sullo scaffale e facendole scorrere… ma non riesco a terminare il passo… rimetto il peso del mio corpo sulla gamba sinistra rimasta assolutamente immobile e lo riprendo in mano… mia mamma… il regalo per mia mamma!! Sorridendo e conglaturandomi con me stessa per aver trovato una scusa plausibile stacco le dita dallo scaffale, afferrando il nuovo amico con entrambe le mani, esattamente a metà lateralmente e me lo porto al naso, sollevandolo come si fa con un bambino, da sotto le ascelle quando si vuole farlo giocare e dargli un bacio… ecco lo faccio… lo annusso… e quell’odore di carta e inchiostro che entra nelle mie narici è come il bacio dato al bambino… un segno di affetto, di appartenenza anche. Smetto di sorridere da sola pensando che chi mi vede potrebbe pensare che sono una pazza furiosa o che il libro me lo voglio mangiare e mi dirigo verso la cassa. Pago ed esco, senza farmelo confezionare, perché me lo voglio godere ancora un po’..

Certo… non è per me, ma conoscendo mia mamma in una settimana… anche meno se la appassiona, il libro è a mia disposizione, pronto ad essere appoggiato sul mio comodino ..
Arrivata a casa lo riguardo.. ristudio per bene la copertina con le dita, come se tentassi di vedere il profilo di un viso con gli occhi chiusi e con un po’ di difficoltà lo chiudo in una carta regalo color argento, e ci piazzo sopra un bel fiocco rosso.
Poche ore dopo lo do a mia mamma, che lo apre, lo guarda, legge la trama e lo appoggia sulla sua libreria, ringraziandomi.. poi riprende la sua posizione di padrona di casa e si mette a tagliare il panettone per i suoi 15 ospiti arrivati come ogni vigilia per la consueta trippa di Natale. Anche io torno alle mie faccende, ma prima di uscire lancio un’ultima occhiata alla libreria, dove tutti i libri sono bene impilati verticalmente..tranne lui, che è appoggiato in un angolo, ancora senza una fissa dimora…ancora vergine..chiudo la porta dietro di me…. e per qualche giorno non ci penso più…
Arriva così il 31 Dicembre, tra pranzi, cene, regali, cinema di natale, preparativi per capodanno e un milione di altre cose, e alle 6.20 suono il campanello della mia amica, pronta a rimboccarmi le maniche x aiutarla a preparate casa e cibo per la cena tra intimi (..27 persone) per dare il benvenuto al 2010. Prima di iniziare a preparare tavola, studiare disposizioni e dividerci tra friggitrice, forno e fornelli ci scambiamo i regali di natale …
Carta rossa… rosso feltrinelli… e già sento l’odore della letteratura che esce dal piccolo buchino fatto e mi entra nelle narici… in puro stile cartone animato con tanto di mano che mi fa segno col dito di seguirla….. apro il resto e senza guardare infilo la mano nel sacchettino…. Estraggo lentamente e…. non ci credo… non ci posso credere… L’ombra del vento.
La mia mente saltella indietro di pochi giorni e rivede come una diapositiva il mio sguardo allo stesso libro posato in casa di mia mamma, prima di uscire chiudendo la porta dietro di me, e con un sorriso incredulo guardo cosa c’è ora tra le mie mani….
Avete presente quelle manine allungabili in gomma appiccicosa che si trovavano nelle patatine diversi anni fa? Ecco… è come se tra me e quel libro ci fosse quella manina appiccicosa… direi che non ce n’è: lo devo leggere, mi ha trovata e non credo mi lascerà andare tanto facilmente quindi lo apro senza neanche rendermene conto e inizio a leggere… … sento una voce in lontananza e penso sia Daniel che attraverso le parole lette mi entra nella testa, ma mi accorgo che è una voce femminile…. Alzo gli occhi e ancora senza sentire, come se fossi chiusa in una bolla di vetro vedo la mia amica che muove le labbra… cerco di concentrarmi e mi accorgo che sta parlando con me… “Smi… Smi??? La cena!!!!”

La cena!!!! Me ne ero dimenticata…. Richiudo L’ombra del vento… per ora …

Smi

lunedì 4 gennaio 2010

New born 2010 ...


Nuovo anno, stessi pensieri, non so perché la gente creda che nel momento in cui le lancette dell’orologio passano la mezzanotte di un millimetro le cose siano diverse, debbano esserlo..
Alla fine non è mai così. Quel secondo dopo la mezzanotte non ha poteri magici, non crea un buco nero nella tua vita dove puoi mettere tutte le cose che non ti piacciono o che ti fanno male in modo che poi scompaiano inghiottite li dentro e finiscano su un pianeta discarica, per poi tornare riciclate e depurate. Non funziona così..
Certo è una scusa per darsi degli obiettivi, dei propositi, per credere in qualcosa e rialzarsi quando si finisce col culo per terra. Ma lo è ogni alba, ogni tramonto, ogni pioggia e ogni cambio di stagione. O almeno, così dovrebbe essere. Ci sono sempre aspettative, speranze, progetti negli auguri di buon anno, eppure.. ci dovrebbero essere anche nel bacio del buongiorno, nel momento in cui ci si guarda allo specchio la mattina, e si chiudono gli occhi alla sera pronti per sognare.
E’ una scusa, una festa, un modo per dimenticare tutto e provare a ricominciare da zero… anzi da 1. Sarebbe bello se funzionasse. Se l’assurda tradizione di buttare le cose dalla finestra le facesse scomparire nel tragitto invece che farle fracassare al suolo. Se si potessero anche svuotare i pensieri, i ricordi dolorosi, se si rigenerassero le parti lesionate del cuore… e del mio crociato anteriore, se si rinascesse davvero. Ma dopo che sono evaporati i fumi dell’alcool dei festeggiamenti e sono scemate le risate, la musica e i primi pettegolezzi dell’anno spegnendo il fischio nelle orecchie che ti rende sordo a tutto il resto, quel buco nero si riapre e in un attimo ti sputa tutto addosso di nuovo, così che ti ritrovi col culo per terra e il ghiaccio sul ginocchio.
Eppure… eppure qualcosa deve essere cambiato, deve funzionare questa credenza che si infila nel cervello ripetendoti all’infinito: anno nuovo, vita nuova. Tutti gli auguri di un anno di gioia, serenità, felicità e di tanti tanti fuochi d’artificio devono infilarsi da qualche parte e sostenerti in modo da farti rialzare senza farti ricadere in tempo zero. Forse non hanno mangiato abbastanza panettone a natale, forse non sono stati augurati col cuore, forse sono appena nati, come il nuovo anno, e non hanno ancora la forza sufficiente.
Allora li prendo e li pianto in un vaso, con la terra nuova, concimata. Li annaffio tutte le sere e ci metto dei bastoncini ai quali fissarli man mano che crescono in modo che non si affloscino, che non muoiano. Gli racconto le mie storie, i miei pensieri e la mia vita, come se leggessi una favola a un bimbo di pochi mesi per farlo addormentare. Li concimo con le mie lacrime e li riscaldo coi sorrisi. Lascio accesa la luce di notte, in modo che non abbiano paura e chiudo bene le porte degli armadi, in modo che non possano uscire le ombre e spaventarli. Li proteggo dai parassiti, dal freddo e dai gatti.. e prima di chiudere gli occhi do loro la buonanotte e l’arrivederci a domani, un domani diverso..

Smi